Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

Bosnia-Erzegovina, viaggio tra le ferite del conflitto e il desiderio di rinascita

Dal monte della Croce di Medjugorje al ponte di Mostar, alla scoperta delle contraddizioni di una terra segnata dalla guerra del 1990, che ha lasciato traccia nei cuori delle persone.

Conflitti, asperità e spiritualità. La Bosnia Erzegovina è da sempre una terra complessa, senza pace, la cui morfologia riflette la sua essenza, come un tessuto che, rivoltato, mostra la sua trama e il suo ordito. Ogni anno la piccola località di Medjugorje è meta di pellegrinaggio di migliaia di persone, credenti e non, cristiani praticanti o semplici curiosi. Il due di ogni mese, intorno alla Croce Blu, ai piedi della collina delle Apparizioni, il Podbrdo, alle prime ore del giorno una folla di credenti si riunisce in preghiera per assistere all’Apparizione della Vergine ai veggenti. Queste apparizioni, la prima nel 1981, non sono state riconosciute dalla Chiesa come fenomeni “soprannaturali”, benché la scienza, dopo aver sottoposto i veggenti ad esami di ogni tipo, non abbia saputo spiegare cosa appaia ai loro occhi nell’istante dell’apparizione.
Proprio questo “non riconoscimento” di Medjugorje, al contrario di Lourdes o San Giovanni Rotondo, rende questo luogo veramente “aperto” a tutti, anche ai non cristiani, anche a chi semplicemente sente il desiderio di raccogliersi, di pensare lontano dalla vita quotidiana, spogliandosi di ruoli, etichette e pensieri a volte inutili, per osservare con un po’ di distacco la realtà. Orientarsi non è semplicissimo, perciò può tornare comunque utile acquistare una guida, anche in loco, visto che qui, i vari negozi di souvenir e prodotti tipici, sono “tarati” su una clientela italiana. L’italiano è in pratica la seconda lingua più diffusa, dopo quella locale.

Due tappe fondamentali sono la salita del Podbrdo, scandita da 5 bassorilievi in bronzo raffiguranti i misteri gloriosi, e quella del monte della Croce (Krizevac), con le tappe della via Crucis. Entrambe si presentano come un percorso aspro, sconnesso, una montagna di sassi, che vista dal basso sembra impossibile da scalare. Il segreto sta nel non guardare verso la cima ma guardare solo i propri piedi, passo dopo passo, senza scoraggiarsi. Fermandosi, scivolando anche, ma senza mollare, senza tornare indietro. E’ stupefacente vedere come anche persone anziane, zoppicanti, sovrappeso, riescono ad arrivare in cima. E addirittura a tornare a valle. Intere. I più “temerari” tentano l’impresa di arrampicarsi scalzi, sfidando pietre aguzze e molto spesso rese scivolose dall’umidità della notte. Senza arrivare a questo, il consiglio è di attrezzarsi con scarpe da ginnastica o da trekking. Il Podbrdo risulta, oltre che più breve, anche meno difficile rispetto al Krizevac per cui, mentre per il primo basta prevedere un paio d’ore al massimo, per il secondo è bene riservarsi una mattinata intera.

Sulla vetta del Krizevac nel 1933 è stata piantata la grande Croce Bianca, diventata poi il simbolo del cammino. La fatica di arrivare in cima viene ripagata dal panorama: una vallata stupenda, selvaggia, capace di infondere pace e serenità, anche se che queste terre restano ancora profondamente segnate dalle ferite della guerra fratricida del 1990, combattuta tra serbi, croati e bosniaci, dopo la dissoluzione della Jugoslavia.

Sia il Podbrdo che il Krisevac sono facilmente raggiungibili in una ventina di minuti a piedi, ma per chi vuole prendere il taxi, bastano pochi euro per coprire il tragitto. Andando a piedi verso la collina delle Apparizioni, si può tagliare per i campi, dove gli abitanti della zona si schierano sulle stradine in terra battuta mettendo in bella mostra i prodotti locali artigianali: dal miele di melograno ai merletti, ai guanti, fino ai cimeli religiosi. Tutto in vendita a pochissimo: per esempio un chilo di miele costa 2-3 euro.

Perdersi a Medjugorje è impossibile ma se dovesse succedere basta guardare in alto e cercare il campanile della parrocchia, punto di riferimento per tutti i pellegrini. La particolarità di questa chiesa è la capacità di accogliere centinaia di fedeli, con grandi spazi esterni e con un’intera area destinata alla confessione, con ben 25 confessionali. Alle spalle dell’edificio, in un piccolo emiciclo è collocata la statua del Cristo Risorto, un’enorme scultura in bronzo e rame, che nasconde un mistero: da un piccolo foro vicino al ginocchio destro esce in continuazione, 365 giorni l’anno a qualsiasi temperatura, piccole gocce di un liquido non bene identificato. La statua è stata smontata e analizzata alla ricerca di un sistema di canalizzazione interno ma i risultati scientifici non hanno portato a nessun esito se non alla spiegazione che si tratta di un semplice trasudo. Per i fedeli invece quello che sgorga senza sosta dalla gamba sarebbe un siero “guaritore”. Ecco perché molte persone si avvicinano alla statua per asciugarlo con dei piccoli fazzoletti e portarlo così agli ammalati.

Contrariamente a quanto si potrebbe credere l’immagine simbolo di Medjugorje, il volto della Regina della Pace, il cui viso è il più fotografato al mondo, non si trova nella parrocchia del paese ma a una trentina di chilometri, nel santuario di Tihajlina. Qui, all’inizio degli anni 80, venne esiliato Padre Jozo, perseguitato dai Comunisti e strenuo difensore dei veggenti e delle apparizioni. Il frate raccontò di avervi trovato una statua bellissima della Madonna. Dopo averla ripulita e restaurata questa prese sembianze umane davanti ai suoi occhi. Fu Padre Jozo, su input della Madonna, a immortalarne il volto e a divulgarne le foto in tutto il mondo.
A pochi chilometri da Tihajlina, in mezzo al territorio brullo e sassoso della campagna, c’è una piccola oasi, un eden inaspettato: le cascate di Kravica, che in estate si trasformano nella “spiaggia” dove trovano refrigerio gli abitanti locali. Le cascate sono alte quasi 30 metri e sgorgano da pareti di tufo ricoperte di licheni, muschi, erba, per finire in un bacino circondato da rigogliose piante di agnocasto e pioppo. In inverno, quando il rumore della folla si spegne, diventa un luogo ideale dove potersi immergere nella natura, ascoltandone i suoni e respirandone i profumi.

Tappa immancabile è la città di Mostar, a circa 30 chilometri da Medjugorje, il cui minuscolo centro storico è diviso a metà dal ponte a dorso di mulo che sovrasta il fiume Narenta. Ponte tristemente noto per essere stato bombardato e distrutto durante il conflitto del 1990. Quello che si vede oggi è la ricostruzione di un ponte costruito oltre 500 anni fa, completamente a secco, e che era sopravvissuto a ben due guerre mondiali. Tutte le tecnologie moderne non sono bastate per rifarlo a secco, quindi quello di oggi è realizzato con il cemento.

È al tramonto che Mostar, grazie a una sapiente illuminazione, si trasforma in uno spettacolo per gli occhi e per il cuore, che fa passare in secondo piano la sensazione di trovarsi quasi in un suk, tra negozietti che vendono souvenir arabeggianti, bar che servono il caffè alla turca e l’eco degli altoparlanti che diffondono la voce del muezzin. Proseguendo oltre l’acciottolato, sbucando sulla strada principale alle spalle del centro storico, ci si ritrova in un’altra Mostar, quella degli edifici fantasma, dei palazzi sventrati, trivellati dai colpi d’arma da fuoco. La Mostar del cimitero islamico, fatto di lapidi su cui la data di morte ricorrente è il 1993 e l’età media delle vittime è sotto i 30 anni. Segni indelebili del conflitto, come lo sono le sole due chiese cristiane rimaste, contro le 32 moschee, costruite in ogni angolo della cittadina, sfruttando gli spazi verdi tra un edificio e l’altro. Ma a dominare la città non sono i minareti, bensì il campanile della chiesa francescana dei Santi Pietro e Paolo, edificata nel 1866, distrutta durante la guerra e ricostruita nel 2000. Il campanile, con i suoi 107 metri di altezza, non solo svetta sulle moschee ma è anche il più alto di tutta la Bosnia-Erzegovina. Un desiderio di rivalsa, una sfida lanciata dai cristiani ai musulmani, simbolo di un Paese ferito, che vive in una pace solo apparente.

Come arrivare. Il consiglio è cercare di arrivare in aereo a Mostar, che dista solo una trentina di chilometri da Medjugorije, anziché arrivare a Sarajevo o Zagabria, che distano circa tre ore di bus. L’alternativa è arrivare via mare, partendo da Ancona o da Bari.

 

Leave a Comment